Pierantonio Tanzola                                       

                                                                 

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Tra pittura e fotografia, storie di “combattimenti”.

 

 

“La storia siamo noi, nessuno si senta offeso”, cantava  Francesco De Gregori alcuni anni fa, “…siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso. La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da raccontare.(…).  Però, la storia non si ferma davvero davanti a un portone. La storia entra dentro le nostre stanze e le brucia. La storia dà torto o dà ragione. La storia siamo noi”. Una storia che, spesso, è stata fonte di drammi e tragedie. E le storie del nostro Paese sono molte da raccontare, tante ancora da scoprire, altre, purtroppo scomparse o assai difficili da ricostruire.

Un ciclo di storie lungo più di quarant’anni, uno spazio temporale lungo il quale si misura l’opera e l’indagine di Pierantonio Tanzola in “Omissis”. Una ricerca, la sua, che, sotto aspetti diversi, risulta  essere,  anche, una storia di conflitti, intrecci e vicende, storiche  e sociali da un lato, di natura tecnico-espressiva dall’altro, in quanto Tanzola lavora su tecniche differenti, come la pittura e la fotografia che, nel corso della metà dell’Ottocento, ovvero agli albori, fu motivo di vivaci e accese discussioni. Basti pensare alle pesanti accuse  di Baudelaire secondo cui la fotografia era il “rifugio di tutti i pittori mancati”. Così, contro la nuova ancella, si scagliava lo scrittore francese al Salon di Parigi  del 1859: “Nella pittura e nella scultura il Credo attuale della società altolocata, soprattutto in Francia … è il seguente: ‘ Credo nella natura e non credo che nella natura (e vi sono buoni motivi per questo). Credo che l’arte e non possa essere se non la riproduzione fedele della natura (…). Perciò l’industria che ci desse un risultato identico alla natura sarebbe l’arte assoluta’. Un Dio vendicatore ha esaudito i voti di questa moltitudine. E Daguerre, fu il suo messia. E allora la folla disse a se stessa: ‘Giacché la fotografia ci dà tutte le garanzie desiderabili di esattezza (credono proprio questo gli stolti!), l’arte è la fotografia’. Da allora, la società immonda, si riversò, come un solo Narciso, a contemplare la propria immagine volgare sulla lastra”* Storie di “combattimenti”, di polemiche e scontri; del resto, giova ricordare che non pochi furono gli artisti, come Corot, Cézanne, Gauguin, Toulouse-Lautrec, Rousseau e Picasso, per non parlare in seguito  di Warhol, Rauschenberg, Bacon, che si sono serviti della fotografia nella realizzazione delle loro opere d’arte. Ecco, allora, che su questa stessa linea, su  questo confine si muove lo stesso Tanzola, intervenendo sull’oggetto, la tavola in legno, con  tecniche diverse – la fotografia appunto, ma anche la pittura o la tempera, associate ad altri elementi ancora, come la terra e la carta di giornale. Armi di una contesa. Sì, perché sul confine e sulla soglia della pittura e della fotografia si estende la sua poetica e si sviluppa così un altro racconto articolato per temi e avvenimenti che ci coinvolgono direttamente.

Dalla morte di Papa Giovanni XXIII (3 giugno 1963) alla scomparsa nel 2000 del grande fotografo marchigiano, Mario Giacomelli, - passando per la Strage di Piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969), il Referendum sul divorzio (12 maggio 1974), l’assassinio a Ostia di Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975), il ritrovamento del corpo di Aldo Moro - l’allora presidente della Democrazia Cristiana, ucciso dalle Brigate rosse dopo un sequestro durato 55 giorni (9 maggio 1978),  il disastro aereo di Ustica (27 giugno 1980),  la strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980), e quella di Capaci (23 maggio 1992) dove Giovanni Falcone, magistrato antimafia, e la sua scorta furono assassinati in un attentato mafioso - Tanzola scandaglia un vasto territorio ma, anche, una complessità di fatti e avvenimenti non facili da decifrare, assai difficili da dimenticare, proprio per la gravità di quegli avvenimenti, per i drammi che si sono consumati dietro quelle esperienze.

E, del resto, non è un caso registrare nei lavori del fotografo padovano un forte senso del dolore, un’intensa drammaticità, come  in “12 dicembre 1969”, la strage di Piazza Fontana alla Banca Nazionale del Lavoro a Milano, la cui immagine su tavola è caratterizzata, in basso a destra e in rilievo, da una mole di fango e terra, proprio a sottolineare  il senso di morte e la violenza di un’attentato che apriva la strategia della tensione nel nostro Paese. E ancora di morte violenta, proprio come in uno dei suoi stessi libri – Una vita violenta – è vittima uno dei più acuti registi e scrittori della seconda metà del Novecento, Pier Paolo Pasolini. Si tratta di una foto scattata alla foce del fiume Adige, nel cui sfondo è una pineta che sembra dividere lo stesso territorio: sulla sinistra è il mare e a destra è l’Adige. Ma “2 Novembre 1975”, è anche un’immagine dalla cui tavola gronda sangue, lungo una spiaggia a Ostia, colma di detriti, ovvero di orrore e dolore.

27 Giugno 1980, nei cieli del mare di Ustica scompare il DC9  Itavia: nessun sopravvissuto per uno dei tanti misteri italiani che hanno caratterizzato un grave fatto di storia e di cronaca.

Ma l’apice di violenza e orrore, nel nostro Paese, viene segnato il 2 Agosto 1980 alla stazione di Bologna. La strage più grave del dopoguerra con più di 80 morti e oltre duecento feriti. L’immagine è scattata da quattro punti di vista, con l’inserimento di terra, foglie e carta di giornale. Una grande macchia scura al centro accanto a un albero e di sfondo altri alberi ancora, e in primo piano, in basso a terra, ancora foglie, spente, cadute, come le tante persone, vittime di questa impressionante  strage.

E ancora una strage si consuma il 23 maggio 1992: a Capaci è l’assassinio del capo il pool antimafia della procura  di Palermo Giuseppe Falcone, di sua moglie e la sua scorta.

Ma fra le tragedie di questo Paese, c’è un po’ di spazio, per la gioia e la festa:  Italia – Germania: 4-3, mitica semifinale  dei campionati del mondo in Messico nel giugno del 1970. Mazzola – Rivera, Domenghini – Facchetti (recentemente scomparso, e “gentiluomo” del calcio italiano), Riva, Boninsegna, Burgnich, e Albertosi, protagonisti di una nazionale in grado di mietere forti emozioni, una dietro l’altra, segno di una forza ma anche delle fatiche umane, che sarebbero approdate alla meritata vittoria, soddisfazione di una presa - di palla e tensione - mai resa, e che nel tempo si sarebbe rivissuta al Santiago Bernabeu di Madrid nella vittoria del 1982, attraverso il racconto di un grande telecronista del calcio, Nando Martellini, e pochi mesi fa nei mondiali di Germania all’Olympiastadion  di Berlino contro la Francia.  

E uno sguardo ancora, questa volta, a un grande maestro della fotografia, a complemento della narrazione di quarant’anni di storia: 25 novembre 2000, la scomparsa di Mario Giacomelli, autore marchigiano espressione di una fotografia densa sì di poesia, ma anche di una profonda realtà, un contatto con il mondo e le persone come testimoniano alcune delle sue più celebri serie di immagini: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, “Presa di coscienza sulla natura”, “Zingari”  immagini realizzate nel 1958 in un campo nomadi, “Io non ho mani che mi accarezzino il volto”, o la serie più nota sotto il titolo dei “pretini”.

Ma in tutta la produzione di Tanzola presente in mostra, un elemento decisamente caratterizzante è  certamente legato al concepimento dell’oggetto, dove la fotografia entra a far parte di un quadro più complesso, sorta di collage carico di costruzioni e combinazioni tese a creare sinergia e complessità sulla stessa ricerca estetica, nella stessa forma in cui si configura l’opera.

Così, oltre la pittura e la fotografia, è il “combattimento” degli oggetti, la lotta per lo spazio, quasi in una prospettiva di natura prossemica, nella quale interagiscono autonomamente e poi in maniera complementare gli elementi  volti a dare forma ed espressività all’oggetto.

Anche così si caratterizza “Omissis”, il testo visivo e narrativo dell’opera, la soglia oltre il cui confine si estende un percorso della storia, meglio ancora delle storie, nostre e di un Paese, di intere generazioni, uomini e donne che, al di là dei drammi, dei lutti, delle gioie e delle passioni, possono ritrovare un motivo di unione, quale atto di una condivisione, o l’essere, nel tempo, insieme protagonisti di percorsi collettivi e di una condizione individuale.

 

 

Enrico Gusella

(dal catalogo "Tanzola - Omissis",

Centro Nazionale di Fotografia, Sottopasso della Stua, Padova 2006)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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*(C.Baudelaire, Scritti sull’arte, a cura                             di G. Guglielmi - E. Raimondi, Torino,  1981, pp.219-220).